CARLO SPAGNUL – una storia di confine ai confini della storia.
di e con
Vanni De Lucia.
Lo spettacolo, dedicato all’ “inutile strage” che costerà 24 milioni di morti (700mila
solo in Italia con altrettanti feriti e mutilati) ed influenzerà la geopolitica europea
fino ai giorni nostri, è ispirato al libro autobiografico “Carlo Spagnul – le memorie",
in cui si narra la vera storia di un povero contadino di Aiello, paese situato sul
confine orientale d'Italia, a quel tempo ancora parte dell’Impero Austro-Ungarico,
durante gli anni della Prima guerra mondiale. Lo spettacolo, ricco di citazioni
storiche vuole essere un invito alla riflessione sulla peculiarità delle genti di confine,
sul nazionalismo, che, cercando di imporre una insensata omogeneità etnica e
culturale, violenta e impoverisce uomini, tradizioni e culture e sui reali interessi
economici che stanno dietro ai proclami patriottici e alla retorica bellicista.
Durata 75 min.
Schnell Schnell!
mio padre, Dachau, il senso di una vita.
Monologo, con letture
di
Vanni De Lucia
La sera del 2 novembre 1944, agenti del Sicherheitsdienst–SS si
presentano a casa dei miei genitori, sposati da un mese, e arrestano mio
padre, qualcuno ha “spiato” che è nella Resistenza. Comincia così una
storia che segnerà la vita dei miei genitori e dei figli che verranno. Mio
padre sopravviverà ai campi di sterminio di Flossemburg, Hersbruck e
Dachau, ma da quell’inferno si porterà dietro un angoscia ed un tormento
che non lo abbandoneranno per il resto della vita.
Nato nel 1911 a Maddaloni (Ce) rimane, giovanissimo, orfano di padre, primo di
sette fratelli, deve subito iniziare a lavorare per garantirne il mantenimento. A undici
anni, viene avviato al commercio ambulante: merletti, tessuti e “spingole francesi”,
battendo, prima con un somarello, poi con un calessino, i mercati e le strade di
Napoli, della Campania, spingendosi fino in Puglia e Calabria. Ha modo così di
conoscere bene le condizioni del Meridione, un paese povero, feudale, dove, in
cinquant’anni, lo stato unitario sabaudo non ha realizzato alcuna delle promesse di
liberazione ed emancipazione garibaldine, ma anzi, ha solo mostrato il volto feroce
dell’autoritarismo e della burocrazia in perfetta continuità con il peggio del Regno
borbonico. Nei primi anni trenta emigra a nord, sul confine orientale, sempre
dedicandosi al commercio di stoffe e tessuti, in particolare a Trieste, Gorizia, sulle
coste dell’Istria e della Dalmazia, dove è testimone delle prepotenze e delle violenze
italiane sulle popolazioni slave, qui si forma una chiara coscienza antifascista e
socialista che lo porta, dopo l’8 settembre del ’43, ad entrare nella Resistenza,
Brigata d’assalto Mameli – Garibaldi -Natisone. Grazie alla sua attività di
commercio, alla capacità di arrangiarsi con le lingue (sloveno, croato e tedesco) alla
spavalda scaltrezza maturata da giovane “scugnizzo”, si sposta agilmente sul
territorio, fornendo informazioni, trasportando documenti, viveri e armi alle
formazioni partigiane italiane e slave. La soffocante occupazione tedesca della
regione, annessa al Reich germanico, i bombardamenti quotidiani, i rastrellamenti,
la ferocia delle Brigate Nere, non gli impedisce, inguaribile ottimista, nel settembre
del 1944, di sposarsi a Udine con mia madre, ma, non passano due mesi, che, la sera
del 2 novembre, viene arrestato dalle SS, tradotto in carcere a Udine e, il 9 gennaio
successivo, deportato in Germania: prima Flossemburg, poi Hersbruck, infine
Dachau, dove verrà liberato, il 29 aprile del 45, dagli americani. La liberazione, lo
trova in gravissimo stato di deperimento, tra mucchi di cadaveri, assenza di acqua e
cibo, il totale abbandono: è smarrito, pesa 36 chili, ha il tifo petecchiale, gli
vorranno tre mesi di cure e ricoveri ospedalieri prima di poter essere rimandato a
casa, profondamente segnato, per sempre. Per narrare della sua permanenza nei
lager, oltre alla sua testimonianza diretta, ho attinto a due libri, in cui è citato, scritti
da suoi compagni di prigionia, uno, del giornalista e pubblicista Pietro Pascoli è
“Deportati” edito nel 1960 ( con prefazione di Ferruccio Parri) l’altro “Un prete a
Dachau” del sacerdote Don Erino D’Agostino ed. 2012. Sento il dovere di
raccontare prima che tutto sia dimenticato o manipolato.
Durata 75min.